Il lusso non conosce crisi: boom per i marchi di gioielli di fascia alta

Un brillante rifugio: gli ultimi anni, segnati da pandemia, crescita dell’inflazione e tensioni geopolitiche, sono stati un periodo di grande crescita per la gioielleria, soprattutto quella di fascia più alta. A confermarlo sono stati anche i dati del più recente Altagamma Consensus, che stima per la gioielleria una crescita del 23-25% rispetto al 2021, ma soprattutto del 36-38% sul 2019 pre-Covid, percentuali trainate, appunto, dalle creazioni più preziose. Che provengono in gran parte dal distretto piemontese di Valenza: è lì che si producono i gioielli per le maison del lusso, e alcune hanno sul territorio le loro manifatture.

Alcune sono in fase di ampliamento, altre ne sorgeranno a breve, proprio per soddisfare una richiesta in costante ascesa: Bulgari, per esempio, a novembre ha avviato i lavori per l’ampliamento della manifattura inaugurata appena cinque anni fa, che consentirà di raddoppiare la produzione entro il 2028. E nel bilancio 2022 di Lvmh, il gruppo al quale appartiene, si legge che a trainare le sue vendite è stata proprio la collezione di High Jewelry. Sempre Lvmh a dicembre ha rilevato il gruppo Pedemonte, altra eccellenza del distretto specializzata in gioielli di alta gamma.

Un altro protagonista del territorio, Damiani, ha chiuso il 2022 con ricavi pari a 238 milioni di euro, +69% rispetto all’esercizio precedente, ha annunciato che entro l’estate inizieranno i lavori per trasformare i 12mila metri quadri dell’ex Palafiere di Valenza, acquistato nel 2019, nella sua nuova manifattura, che a regime ospiterà 500 maestri orafi.

L’alta gioielleria è un segmento sempre più popolato, come dimostra il lancio, lo scorso anno, della collezione di Marco Bicego, solo la più recente di una serie che negli ultimi quattro anni ha visto esordire nel settore Pomellato e Gucci, mentre marchi come Armani e Prada sono presenti (per ora) “solo” nella fine jewelry.

Fonte: Il Sole 24 Ore